Vedere per non
credere
Quello che il nostro intelletto
coglie corrisponde a realtà differenti. Capire come la mente interpreta la percezione
visiva può aiutarci a gestire un progetto efficace.
I dati
raccolti attraverso lo sguardo sono
la fonte più immediata e diretta cui attingiamo per costruirci un’idea della realtà. Eppure il meccanismo
della visione è soggetto a imperfezioni e a difetti. Inoltre, i segnali
ricevuti dall’occhio devono essere elaborati dal cervello, che a sua volta può
travisarli, o venirne ingannato. La comunicazione visiva e le sue
interpretazioni sono materia quotidiana per il grafico, che ha dunque necessità
di conoscerne le dinamiche della
percezione, per evitare ambiguità e rendere chiamro l messaggio, ma anche
per trafurli in effetti seducenti, capaci di coinvolgere l’osservatore.
Vicini associati
Il tutto
è maggiore della somma delle parti e mote informazioni raggruppate in un
insieme vengono interpretate dal cervello come qualcosa di diverso: è l
concetto alla base della Gestalt, la
psicologia della forma che lo psicologo Max Wertheimer iniziò a esplorare
negli anni Venti. Questo giustifica la necessità di armonizzare lfra loro le
parti di un elaborato grafico. Anche in natura animali di piccola taglia si
uniscono in gruppi numerosi affinché i predatori li percepiscano
collettivamente come creature più grandi di loro.
L’unione fa la forza
Alcune specie di pesci si muovono in branchi per ingannare i predatori, che li percepiscono come un’unica creatura di grandi dimensioni.
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Guardiamoci in faccia
La mente
funziona per categorie e analogie: se un’immagine presenta un
certo numero di elementi distintivi analoghi a quelli di qualcosa che già
conosciamo e che abbiamo inserito in una categoria specifica (per esempio
“forme note” o “lettere dell’alfabeto”), vedremo questo qualcosa in essa, anche
se in realtà non c’è. È un meccanismo d’identificazione particolarmente forte
nei riguardi dei volti umani, il cui riconoscimento fa parte dei nostri
automatismi profondi, sfruttato dal pittore Giuseppe Arcimboldo (1527-1593) per
le sue composizioni e replicabile con qualunque insieme d’elementi grafici.
Estate
Giuseppe Arcimboldo è noto soprattutto per le sue “teste composte”, ritratti burleschi eseguiti combinando tra loro oggetti o cose, come in questo dipinto del 1573 intitolato “Estate”.
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“Qualunque cosa la mente umana si
trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione”. Rudolf
Arnheim
Livelli distinti
Dare
risalto a un’immagine posta su uno sfondo sembra elementare: è sufficiente che uno dei due oggetti sia chiaro e l’altro
scuro. Anche una figura così netta e contrastata diventa però ambigua, se il
cervello non riesce a distinguere quale sia lo sfondo e quale l’immagine. È il
caso dei “Profili di Rubin” che sembrano allo stesso tempo due volti affrontati
oppure un calice. Il gioco fra soggetto dell’attenzione e sfondo può diventare
il mezzo per separare e valorizzare con uguale efficacia le parti di un
messaggio duplice.
Vaso di Rubin
Il “Vaso di Rubin” è un esempio di figura reversiibile ideata dallo psicologo danese Edgar Rubin nel 1915 per sottolineare il rapporto tra figura e sfondo.
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Colori in movimento
Giocando
con forme e colori, è possibile ottenere effetti molto particolari, che il
nostro occhio e il nostro cervello interpretano in maniera inusuale.
Nell’immagine qui a lato, l’alternanza di giallo rosso e fucsia e la forma
frastagliata delle cornici concentriche contribuiscono a creare un effetto di
movimento anche se, naturalmente, si tratta di ua figura fissa.
Non c’è ma si vede
Un’informazione
incompleta è scarsamente utile, così come il cervello si sforza di completare
quelle che riceve dalla vista, ancche quando questo lo porta su una falsa
pista. Nell’immagine in basso individuiamo immediatamente un triangolo, in
parte sovrapposto ad alcune forme nere che lo circondano. Il triangolo non
esiste, ma vederlo è inevitabile, poiché la mente integra il messaggio visivo
comunicato dalle forme nere, inducendo l’occhi o a vedere le parti che suppone
mancanti, nello stesso modo in cui le vedrebbe se ci fossero. È un’illusione
definita appunto di “completamento modale”, che fa vedere all’osservatore anche
ciò che in effetti non c’è.
Dalla
rivista: Graficamente – per la pubblicità, la stampa, il web – De Agostini Editore,
a. 2011 n.4 pg: 18-19
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