allieva del corso A del corso di Design Industriale della prof. Cecilia Polidori



lunedì 14 maggio 2012

VEDERE, LEGGERE, CAPIRE


Vedere per non credere
Quello che il nostro intelletto coglie corrisponde a realtà differenti. Capire come la mente interpreta la percezione visiva può aiutarci a gestire un progetto efficace.

I dati raccolti attraverso lo sguardo sono la fonte più immediata e diretta cui attingiamo per costruirci un’idea della realtà. Eppure il meccanismo della visione è soggetto a imperfezioni e a difetti. Inoltre, i segnali ricevuti dall’occhio devono essere elaborati dal cervello, che a sua volta può travisarli, o venirne ingannato. La comunicazione visiva e le sue interpretazioni sono materia quotidiana per il grafico, che ha dunque necessità di conoscerne le dinamiche della percezione, per evitare ambiguità e rendere chiamro l messaggio, ma anche per trafurli in effetti seducenti, capaci di coinvolgere l’osservatore.

Vicini associati
Il tutto è maggiore della somma delle parti e mote informazioni raggruppate in un insieme vengono interpretate dal cervello come qualcosa di diverso: è l concetto alla base della Gestalt, la psicologia della forma che lo psicologo Max Wertheimer iniziò a esplorare negli anni Venti. Questo giustifica la necessità di armonizzare lfra loro le parti di un elaborato grafico. Anche in natura animali di piccola taglia si uniscono in gruppi numerosi affinché i predatori li percepiscano collettivamente come creature più grandi di loro.


L’unione fa la forza
Alcune specie di pesci si muovono in branchi per ingannare i predatori, che li percepiscono come un’unica creatura di grandi dimensioni.

Guardiamoci in faccia
La mente funziona per categorie e analogie: se un’immagine presenta un certo numero di elementi distintivi analoghi a quelli di qualcosa che già conosciamo e che abbiamo inserito in una categoria specifica (per esempio “forme note” o “lettere dell’alfabeto”), vedremo questo qualcosa in essa, anche se in realtà non c’è. È un meccanismo d’identificazione particolarmente forte nei riguardi dei volti umani, il cui riconoscimento fa parte dei nostri automatismi profondi, sfruttato dal pittore Giuseppe Arcimboldo (1527-1593) per le sue composizioni e replicabile con qualunque insieme d’elementi grafici.
Estate
Giuseppe Arcimboldo è noto soprattutto per le sue “teste composte”, ritratti burleschi eseguiti combinando tra loro oggetti o cose, come in questo dipinto del 1573 intitolato “Estate”.

“Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è una indispensabile condizione”. Rudolf Arnheim

Livelli distinti
Dare risalto a un’immagine posta su uno sfondo sembra elementare: è sufficiente  che uno dei due oggetti sia chiaro e l’altro scuro. Anche una figura così netta e contrastata diventa però ambigua, se il cervello non riesce a distinguere quale sia lo sfondo e quale l’immagine. È il caso dei “Profili di Rubin” che sembrano allo stesso tempo due volti affrontati oppure un calice. Il gioco fra soggetto dell’attenzione e sfondo può diventare il mezzo per separare e valorizzare con uguale efficacia le parti di un messaggio duplice.

Vaso di Rubin
Il “Vaso di Rubin” è un esempio di figura reversiibile ideata dallo psicologo danese Edgar Rubin nel 1915 per sottolineare il rapporto tra figura e sfondo.



Colori in movimento
Giocando con forme e colori, è possibile ottenere effetti molto particolari, che il nostro occhio e il nostro cervello interpretano in maniera inusuale. Nell’immagine qui a lato, l’alternanza di giallo rosso e fucsia e la forma frastagliata delle cornici concentriche contribuiscono a creare un effetto di movimento anche se, naturalmente, si tratta di ua figura fissa.

Non c’è ma si vede
Un’informazione incompleta è scarsamente utile, così come il cervello si sforza di completare quelle che riceve dalla vista, ancche quando questo lo porta su una falsa pista. Nell’immagine in basso individuiamo immediatamente un triangolo, in parte sovrapposto ad alcune forme nere che lo circondano. Il triangolo non esiste, ma vederlo è inevitabile, poiché la mente integra il messaggio visivo comunicato dalle forme nere, inducendo l’occhi o a vedere le parti che suppone mancanti, nello stesso modo in cui le vedrebbe se ci fossero. È un’illusione definita appunto di “completamento modale”, che fa vedere all’osservatore anche ciò che in effetti non c’è.

Dalla rivista: Graficamente – per la pubblicità, la stampa, il web – De Agostini Editore, a. 2011 n.4 pg: 18-19

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